Conteggio dell'Omer di Shlomo Bekhor 2
20° Giorno
Giorno Venti dell’Òmer
2 settimane e 6 giorni
YESSÒD in TIFÈRET – UNIONE nella COMPASSIONE
5 di Iyàr –
20° giorno: questa sera abbiamo la facoltà di illuminare l’Unione nella Compassione.
La parola Sefirà in ebraico significa contare, ma anche ILLUMINARE (safìr - zaffiro). Il nostro cuore è come un pianoforte con 49 tasti e 49 corde e ogni emozione della vita è collegata a una di queste corde. Questo significa che in ogni giorno dell’Òmer abbiamo la possibilità e l’ordine divino di far splendere una nuova “corda” (un nuovo attributo) del nostro cuore. Quando riusciamo a far questo possiamo interagire al meglio con il prossimo e di conseguenza con Hashèm e avere una vita piena di significato e successo.
In realtà c’è molto di più! In ogni giorno dell’Òmer, la Sefirà che corrisponde a quell’attributo si illumina per ventiquattro ore in tutto il mondo. Quindi, attingendo da questa rivelazione ognuno di noi ha una spinta dall’alto per migliorare l’aspetto di quel giorno.
Solo quando abbiamo illuminato TUTTI i nostri attributi, saremo MATURI per FRONTEGGIARE ogni situazione e pronti per ricevere al cinquantesimo giorno la Torà e rinnovare il patto preso sulla montagna del Sinai nell’anno 2448 dalla creazione del mondo (3.335 anni fa); evento che ogni anno viene celebrato nella festa di Shavuòt.
Tifèret è la qualità della compassione che vede e percepisce i bisogni del prossimo.
Yessòd è la qualità che consente di socializzare e creare un legame profondo con gli altri.
In questo giorno, illuminando Yessòd presente in Tifèret, permettiamo alla clemenza di avere un profondo legame con il ricevente. Anche se una persona (donatore) riesce a creare una relazione orizzontale (una qualità di hod, come spiegato nel 19° conteggio di ieri), senza l’aggiunta di Yessòd non riuscirà a essere veramente cosciente della sofferenza del ricevente e dargli un completo supporto. Affinché la compassione sia efficace, il donatore deve entrare nei panni di chi gli è davanti, nelle profondità dei problemi altrui, fino a sentirli come i propri.
Una storia chassidica può esserci di aiuto:
il Rebbe Maharàsh (nato il 2 Iyar, Tifèret in Tifèret, tre giorni fa) teneva delle udienze private con le persone che chiedevano la sua benedizione. E ogni volta chiedeva al suo inserviente di portargli un abito pulito ogni tre, quattro persone. L’inserviente non capiva il perché di tutti questi cambi d’abito, quindi chiese al Rebbe di spiegargli il motivo.
Il Rebbe gli disse: “Per poter dar loro un giusto consiglio e sostegno, devo immedesimarmi nei panni delle persone per SENTIRE VIVAMENTE I LORO PROBLEMI. Questo richiede TANTA energia e sudore. Solo così sono in grado di offrire un vero aiuto”. Questo, richiedeva un tale impegno emotivo che il Rebbe, dopo aver incontrato qualche persona, doveva già cambiare gli abiti per via del sudore…
Una Compassione (tifèret) senza una profonda Unione (yessòd) è statica, come una macchina potente ma senza le ruote!
Riflessione:
la nostra compassione crea un’unione tale che il prossimo percepisce che stiamo soffrendo insieme a lui? I problemi dell’altro, diventano i nostri problemi, oppure diamo la sensazione di essere distaccati?
Esercizio:
quando la moglie (o figlio, amico…) ha bisogno di aiuto e comprensione, prima di rispondere, immedesimiamoci in loro, sentiamo i loro problemi come se fossero i nostri con profonda empatia. Non rispondiamo alle loro difficoltà come uno psicologo, in maniera fredda e SENZA sentimento.
Quando si aiuta un bisognoso non bisogna dargli dei soldi SOLO perché lui chiede, ma perché SOFFRIAMO per la sua condizione e quindi NON riusciamo a non aiutarlo (yessòd in tifèret).
21º Giorno
Giorno Ventuno dell’Òmer
3 settimane
MALKHÙT in TIFÈRET – REGALITÀ nella COMPASSIONE
6 di Iyàr – sabato sera 3 Maggio
(si legge dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano ore 21,29)
21° giorno: questa sera abbiamo il dono di perfezionare la Regalità nella Compassione, l’ultima sfaccettatura della terza sefirà, Tifèret, il pilastro centrale dei sentimenti. Con questo 21° attributo completiamo la costruzione del “terzo piano del palazzo” dei nostri sentimenti.
Tifèret è l’attributo che permette di provare compassione ed empatia per i problemi e i bisogni dell’altro.
Malkhùt - è l’ultima delle sette sefiròt e corrisponde al sentimento della Regalità, la capacità di coltivare la propria dignità e comprendere e rispettare quella degli altri (Malkhùt verrà spiegata meglio nell’ultima settimana dell’Òmer, “il settimo piano”).
Illuminando Malkhùt, presente in Tifèret, miglioriamo la qualità della Compassione. Tramite la Regalità di Malkhùt possiamo valorizzare la nostra dignità e quella di chi riceve il nostro supporto e comprensione (tifèret), sotto due duplici aspetti:
SOLO chi rispetta il proprio onore può rispettare anche quello degli altri; SOLO chi possiede entrambi questi requisiti riesce a esercitare una COMPASSIONE COMPLETA.
Questo giorno ci insegna come le persone oggetto della compassione altrui, ricevono sollievo SOLO se hanno la percezione di essere ascoltati e aiutati da persone mature e adulte. Riuscire a offrire una AUTOREVOLE COMPASSIONE, senza che il donatore annulli la propria personalità, può aiutare efficacemente il prossimo!
Una storia può illuminarci questo concetto:
Un giorno un grande Tzaddik, il Khafetz Khayim, andò a trovare per lo Shabbàt un ebreo molto ricco, con una grande casa; famoso per la tavola del venerdì sera sempre piena di cibo, vino e di ogni ben di Dio. L’uomo era oltremodo felice di avere come ospite il grande maestro e già pregustava, in cuor suo, il fantastico Kidùsh che avrebbe celebrato. Quanti discorsi sulla santa Torà, quali incredibili aneddoti avrebbe rivelato lo Tzaddik!
Al calare della sera, la tavola era pronta e apparecchiata, gli uomini si sedettero e con loro vi era una donna, madre di due figli, addetta a servire la cena di Shabbàt. Il grande Tzaddik, nello stupore generale, esordì dicendo: “Forza sbrighiamoci, facciamo in fretta!”. Iniziò il kidùsh, in un attimo recitò le benedizioni sul vino e il pane, poi chiese che le portate fossero servite subito, presto e tutte insieme.
In pochi minuti la cena era finita. Il padrone di casa non si capacitava e chiese spiegazioni al grande maestro, il quale gli rispose: “Il tuo grandioso Shabbàt non può impedire a una vedova di festeggiarlo senza i suoi figli”. A quel punto, la donna che aveva servito la cena scoppiò a piangere, ringraziò lo Tzaddik e affermò: “Finalmente stasera posso tornare a casa e fare il Kidùsh con i miei figli, ogni volta arrivo quando loro già sono a dormire”.
La Compassione (tifèret) del grande Rav era perfetta, poiché piena di Dignità (malkhùt) per se stesso e di conseguenza per il prossimo. Così riuscì a realizzare quello di cui la donna aveva realmente bisogno. La compassione del “riccone” era contaminata dall’orgoglio che offuscava la sua Nobiltà (malkhùt) e quindi gli impediva di vedere quella dell’altro. Ciò non gli permetteva di dare valore ai bisogni di una povera donna che lo serviva.
Riflessione:
riesco a mantenere la mia dignità e quella del prossimo in modo di avere una compassione onorevole?
Esercizio:
quando il coniuge chiama per avere aiuto, mentre si è affaccendati nel lavoro o in qualche altra occupazione, perlomeno scusiamoci di non poterlo aiutare. Parliamo gentilmente, mostrando empatia e comprensione verso il suo problema (malkhùt). Se invece comunichiamo con un tono poco dignitoso, allora la compassione (tifèret) è superficiale.
22° Giorno
Giorno Ventidue dell’Òmer
3 settimane e 1 giorno
KHESSÈD in NÈTZAKH – BONTÀ nella DETERMINAZIONE
7 di Iyàr – domenica sera 04 Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano alle ore 21,25)
22° giorno: da questa sera iniziamo la quarta settimana e saliamo al “quarto piano del palazzo emozionale”.
Nètzakh: è l’attributo della Determinazione, Continuità e Costanza per portare a termine i nostri sogni e vincere le sfide della vita. Per i prossimi sette giorni saremo focalizzati a raffinare questo sentimento.
Una persona poco ambiziosa significa che è nata con un Nètzakh “ridotto”, quindi è naturalmente predisposta, a evitare le grandi sfide. Nella quarta settimana dell’Òmer, questa persona avrà la grande opportunità e il dono divino di sviluppare sia Nètzakh nella sua essenza, sia in tutte le sue sei facce.
Khèssed: è l’attributo dell’Amore – Bontà che nasce dal sentimento di sentirsi bene aiutando il prossimo. Questa espressione di se stessi, anche se tende a non considerare i bisogni del prossimo, dona un desiderio di dare contro la natura umana egocentrica, e ci rende in grado di superare gli ostacoli con grande entusiasmo.
In questa quarta settimana abbiamo una carica aggiuntiva dall’Alto per rinforzare tutte le facce della nostra Determinazione. E nel ventiduesimo giorno, quando illuminiamo l’interclusione di Khèssed presente in Nètzakh, possiamo imparare a perfezionare la nostra Tenacia con vitalità e passione. Quando amiamo le mete che aspiriamo di raggiungere, solo allora possiamo raggiungerle veramente, contro tutto e tutti. Per esempio, se mancasse l’amore per ottenere una laurea o realizzare un impegnativo progetto nel lavoro, sicuramente mancherà la determinazione per realizzare ciò che vogliamo. Perciò, bisogna cercare gli elementi che ci faranno amare quella laurea o quel progetto per migliorare la nostra determinazione: se una persona studiasse medicina, dovrebbe pensare alle vite che salverà diventando medico e solo con l’amore di voler essere medico riuscirà a sviluppare costanza e ambizione. Anche l’amore per la famiglia aiuta a vincere le tante sfide della vita famigliare.
Contrariamente un approccio non caloroso o indifferente, verso le nostre ambizioni, non sviluppa un’efficace costanza.
Un racconto della Torà, basato su un commento del Rebbe, può farci comprendere meglio:
Pinekhàs, pieno di sacro zelo, fece retrocedere l’ira del Signore dai figli d’Israele, uccidendo Zimrì, capo della tribù di Shimòn, che stava peccando. Per questo gesto Pinekhàs venne deriso e disprezzato dalle tribù. Esse ritennero che Pinekhàs avesse compiuto un atto di crudeltà e per questo lo soprannominarono “ben Putì, figlio di Putì”, poiché Putièl era uno dei nomi di Yitrò, il nonno di Pinekhàs. Quindi, le tribù lo accusavano di essere crudele come Yitrò: come il nonno ingozzava con la forza i vitelli con cibo grasso allo scopo di scannare delle grandi bestie in onore di falsi dei; così, anche il nipote Pinekhàs si era comportato in modo crudele uccidendo brutalmente un capo tribù (Numeri 25, 8).
Allora, perché la Torà ricorda la sua genealogia? Affermando che: “Pinekhàs figlio di El’azàr, figlio del Sacerdote Aharòn” la Torà ci sta dicendo che Pinekhàs fece la cosa giusta. Egli fu zelante verso Hashèm e compì una buona azione, un atto di bontà e di misericordia. Per questo, la Torà ricorda la sua discendenza da Aharòn, il Sacerdote che amava e rincorreva la pace. Come Aharòn fu un uomo misericordioso, così lo fu anche suo nipote, Pinekhàs, quando uccise Zimrì, il peccatore. Amore che Pinekhàs aveva ereditato da suo nonno, Aharòn il Sacerdote!
Pinekhàs è l’unico che ha osato sfidare un capo tribù. Il suo zelo (nètzakh) nel servire le proprie convinzioni e la volontà di Hashèm, assieme a un verace sentimento di amore (khèssed) per Hashèm e Israèl, donarono a Pinekhàs la vita eterna e non morì MAI!
Si può aggiungere che senza Bontà (khèssed), c’è il rischio che la determinazione e l’ambizione (nètzakh) derivino dal lato negativo della persona. Ad esempio, non tutti i rivoluzionari della storia (l’archetipo della sefirà di nètzakh) hanno agito solo per un ideale superiore ai propri interessi, poiché molti erano mossi esclusivamente dall’ambizione personale.
Con la Bontà si enfatizza la purezza e la santità di un gesto anomalo. Quando insieme alla componente di Nètzakh si aggiunge Khèssed - Amore allora possiamo indirizzare la naturale predisposizione alla VITTORIA in senso positivo e fare delle rivoluzioni per il bene della società.
Riflessione:
la mia ambizione e la mia determinazione sono mosse da un sentimento di Amore?
Sono capace di perseverare per raggiungere una meta importante trascendendo i miei limiti, grazie all’Amore che provo per essa?
Esercizio:
la storia ci insegna che un grande uomo di successo avrà difficoltà a raggiungere i suoi traguardi se mosso solamente dall’ambizione. Senza Khèssed, mancherà l’entusiasmo e la passione per avere la Continuità (nètzakh) necessaria: BISOGNA AMARE IL PROGETTO CHE SI VUOLE REALIZZARE.
Nètzakh è come il motore di una macchina che ha bisogno della benzina perché continui a funzionare. L’ingrediente dell’Amore per il proprio obiettivo è come la “benzina”, quindi il “motore” (nètzakh) necessita della benzina (khèssed) che alimenta la Determinazione.
23º Giorno
Giorno Ventitré dell’Òmer
3 settimane e 2 giorni
GHEVURÀ in NÈTZAKH – DISCIPLINA nella DETERMINAZIONE
8 di Iyàr – lunedì sera 5 maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano ore 21,30)
23° giorno: questa sera abbiamo la facoltà di rettificare il sentimento di Ghevurà in Nètzakh – Disciplina nella Determinazione.
Nètzakh è il sentimento che ci dona la forza di perseguire con continuità i nostri ideali e ambizioni, anche al costo di “combattere” per essi.
Ghevurà è l’attributo della potenza per disciplinare e fare ordine con rigore in noi stessi e nel mondo che ci circonda.
In questo ventitreesimo giorno, facendo brillare Ghevurà presente in Nètzakh, possiamo rettificare la nostra determinazione e imparare ad essere continuativi in maniera più equilibrata. Grazie alla disciplina di Ghevurà acquisiamo la capacità di SAPERCI FERMARE SE SIAMO NELLA DIREZIONE ERRATA. Ogni ambizione, se non ponderata, rischia di trasformarsi da positiva a negativa. Con l’aggiunta del rigore di Ghevurà abbiamo la consapevolezza di comprendere che siamo fuori strada e che la determinazione ci farà allontanare ancora di più dalla meta della nostra vita.
Infatti, il motore dell’anima di Nètzakh è un’arma a doppio taglio: permette di raggiungere grandi risultati, ma se prende la direzione sbagliata ci spinge molto lontano. Ad esempio i giovani, spesso pieni di energia, hanno bisogno dell’esperienza degli adulti per evitare che il loro grande spirito combattivo non venga usato in maniera nefasta. Possiamo dire che il 23° giorno è adatto soprattutto per gli adolescenti.
Una storia nei profeti, commentata dal Rebbe, può aiutarci a capire meglio:
l’haftarà, letta nello Shabbàt Zakhòr, racconta di come Re Shaùl, contravvenendo al volere Divino ha risparmiato Agàg, il re di Amalèk, e “quel che vi era di meglio fra gli animali ovini e bovini”. Dio, adirato per la condotta di Shaùl, per bocca del profeta Shemuèl, affida il regno al Re Davìd.
Tuttavia, i nostri Saggi evidenziano come Shaùl, quando divenne re, era puro dai peccati come un bambino di un anno. È chiaro quindi che l’avere risparmiato Agàg e il meglio degli animali non poté essere semplicemente una palese forma di disobbedienza a Dio.
Shaùl, infatti, riguardo alla sua condotta, disse: “Ho realizzato la parola del Signore” (Shemuèl I 15, 13).
In definitiva, Shaùl credeva di aver adempiuto la volontà di Dio: sacrificando un animale si trasforma l’oscurità, il buio della materia, nella luminosità dello spirito. Elevando proprio i buoi di Amalèk (che rappresenta l’origine di ogni male), Shaùl pensava che in questo modo avrebbe portato una grande illuminazione spirituale in questo mondo.
Pur essendo le sue azioni molto logiche, Shaùl mancò di un elemento indispensabile: la sottomissione al volere Divino. Dio aveva ORDINATO specificamente: “Distruggete tutto quello che è di Amalèk”.
Per questo il profeta Shemuèl disse a Shaùl: “Forse il Signore desidera SOLO sacrifici? Ascoltare è meglio che sacrificare, obbedire è più importante che offrire il grasso dei montoni”.
Quando si serve Dio solo secondo la propria logica e le proprie emozioni, si rischia di sbagliare, proprio come fece Shaùl. Lo Zohar afferma che il kabalàt ol (sottomissione ad Hashèm) è la via d’accesso ad ogni aspetto della santità. Senza kabalàt ol non è possibile essere un ricettacolo capace di ricevere e contenere il Divino, e da ciò può risultare ogni tipo di male.
Una persona dovrebbe servire Dio con la propria intelligenza, non perché è appagante e piacevole farlo, ma semplicemente perché è Dio che gli ha ordinato di servirlo, anche attraverso i precetti logici del nostro intelletto. Tuttavia, nel caso di Shaùl Dio gli ha chiesto di agire irrazionalmente, perché contro la “radice del male” impersonificata da Amalèk, non si può lasciare nessun residuo, poiché il male va sradicato totalmente.
Ogni re deve avere tanta determinazione per comandare, ma Shaùl ha perseguito testardamente ciò che credeva giusto (nètzakh), ma verso una direzione sbagliata e non ebbe la forza (ghevurà) di bloccare la sua logica umana che interferiva con il piano divino e capire cosa veramente Hashèm voleva da lui.
In questo giorno dell’Òmer possiamo dare al nostro spirito combattivo un elemento fondamentale: IL SENSO DEL LIMITE!
Riflessione:
quando sono immerso tenacemente in un progetto, ho la capacità di ascoltare le critiche o vado avanti a oltranza come un fiume in piena?
Esercizio:
abbiamo individuato con fatica un investimento da fare per la famiglia, che riteniamo MOLTO appropriato. Tuttavia, il coniuge si oppone motivatamente alla cosa, perché la ritiene troppo dispendiosa o eccessiva. In un momento come questo, occorre trovare la forza di placare la determinazione e di ascoltare le critiche e capire se dobbiamo deviare o meno dai nostri propositi.
24° Giorno
Giorno Ventiquattro dell’Òmer
3 settimane e 3 giorni
TIFÈRET in NÈTZAKH – COMPASSIONE nella DETERMINAZIONE
9 di Iyàr – martedì sera 6 Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21,26)
24° giorno: questa sera abbiamo la facoltà di “illuminare” la terza sfaccettatura di Nètzakh, Compassione nella Determinazione.
Nètzakh: è l’attributo della perseveranza, coerenza, tenacia e determinazione che ci permette di vincere le sfide e avere la costanza necessaria per realizzare i nostri sogni e ambizioni.
Tifèret: è l’attributo che ci rende sensibili ai disagi degli altri superando il nostro IO.
Oggi abbiamo la forza di rettificare la nostra Determinazione facendo brillare Tifèret presente in Nètzakh. In questo modo possiamo imparare come evitare di perseguire i nostri obiettivi in maniera egoistica oscurando l’esistenza del prossimo. Ad esempio, grazie all’altruismo di Tifèret impariamo che per arrivare ai vertici di un’azienda non dobbiamo necessariamente pestare i piedi ai colleghi. Pertanto, in questo giorno possiamo utilizzare la nostra determinazione per sviluppare dei progetti con finalità positive e non per “ELIMINARE” gli ANTAGONISTI.
Una tenacia NON compassionevole è come una MACCHINA che NON si FERMA allo STOP “investendo” i passanti.
Una storia può illuminarci a rettificare questo 24° attributo:
Moshè, un chassìd Chabad, fu assunto nella filiale di una banca nel centro di Rio.
L’amministratrice della banca, dove lavorava, non sembrò apprezzare il nuovo arrivato e da allora non perse occasione di fargli critiche taglienti sul suo “abbigliamento”. Altri impiegati iniziarono a imitare il suo esempio, nella speranza di ingraziarsi la donna e progredire così nelle loro carriere, anche se a spese di un loro collega. Moshè fece di tutto per non entrare in controversia con nessuno, sopportando di buon grado tutte quelle cattiverie.
Con disappunto di molti, nelle sfere superiori fu deciso di nominare Moshè a capo del reparto grazie alle sue abilità nel lavoro.
Col passare dei giorni, Moshè non potendone più degli insulti ricevuti chiese aiuto al Rebbe con una lettera che infilò in uno dei volumi dell’Igròt Kòdesh.
Intanto le persecuzioni dell’amministratrice e dei colleghi si intensificarono, fino al giorno in cui, a sorpresa, la donna annunciò le proprie dimissioni.
Per l’occasione, venne organizzata una festa d’addio. Quando l’amministratrice entrò nella stanza, dove si teneva la festa, si diresse verso Moshè e gli chiese nervosamente di potergli parlare. L’amministratrice, seduta in silenzio con gli occhi pieni di lacrime, gli chiese scusa di tutto e gli disse che prima di dimettersi aveva fatto un sogno, dal quale non si era ancora ripresa: “Ero al parco, quando all’improvviso un Ebreo di bell’aspetto, con una barba bianca e degli occhi saggi, mi parlò in tedesco e mi disse di non infastidire più nessun Ebreo”. Ecco il motivo delle mie dimissioni! Moshè rimase inchiodato al suo posto, era chiaro che lei aveva visto il Rebbe!
L’amministratrice e i colleghi di lavoro di Moshè impiegarono la loro determinazione (nètzakh) per denigrare un collega, senza la compassione (tifèret). Invece Moshè riuscì a far carriera, poiché si impegnò assiduamente per il bene della banca (tifèret in nètzakh) e non per andare CONTRO i colleghi/rivali.
Riflessione:
la mia Determinazione compromette la considerazione che ho del prossimo?
Esercizio:
con tenace volontà, dedichiamo tutto noi stessi per essere un padre e marito “modello”. Tuttavia siamo intolleranti verso qualsiasi cosa che si opponga ai nostri “progetti familiari”, nella scelta delle scuole per i figli, oppure di dove andare in vacanza...
Le esigenze dei figli e moglie quasi non vengono visti o considerati. Fermiamoci un attimo, prendiamoci un po’ di tempo per ascoltare con empatia ogni giorno i loro problemi e bisogni. Cerchiamo di sfruttare la carica dal Cielo che abbiamo nel 24° giorno per sviluppare una Tenacia Compassionevole.
25° Giorno
Giorno Venticinque dell’Òmer
3 settimane e 4 giorni
NÈTZAKH in NÈTZAKH – DETERMINAZIONE nella DETERMINAZIONE
10 di Iyàr –
Oggi siamo arrivati nel cardine centrale dell’Òmer, il 25° giorno, il pilastro centrale, proprio in mezzo al conto dei 49 giorni: fino ad oggi abbiamo contato esattamente 24 giorni e da domani avremo altri 24 giorni da rettificare. Inoltre, a livello settimanale oggi è NÈTZAKH in NÈTZAKH che è il centro della settimana centrale dell’Òmer, la quarta faccia del quarto sentimento.
Quindi, se normalmente durante il periodo dell’Òmer, abbiamo una carica superiore per curare tutte le “malattie dell’anima”, oggi abbiamo una forza ancora maggiore.
Dio dona a ogni persona, al momento della nascita, sia delle tendenze caratteriali negative, sia la forza per modificarle e rettificarle. Noi possiamo e dobbiamo crescere, migliorarci sempre. In particolare, in questo giorno che cade a metà della Sefiràt Òmer.
25°giorno: questa sera Hashèm ci dà la forza di raffinare Nètzakh senza veli: Determinazione nella Determinazione.
Ogni Sefirà include sette attributi: sei sono sfaccettature, più un’altra che è l’attributo stesso nella sua essenza. Perciò questo giorno dell’Òmer, Nètzakh di Nètzakh, non è una faccia aggiuntiva dell’attributo settimanale, ma è la sua essenza. Quindi, oggi ci troviamo “nell’anima” della DETERMINAZIONE.
A volte può accadere di essere inconsistenti nel nostro agire: cambiamo troppo facilmente obiettivo o stato d’animo. Ciò significa che le difficoltà ci spaventano molto e il nostro spirito combattivo, che abbiamo innato, è poco sviluppato, in questo 25° giorno possiamo “annaffiare” il 4° attributo, il pilastro centrale di tutti gli altri.
Per stimolare una vittoria dobbiamo considerare gli ostacoli che incontriamo nella vita non come delle barriere che ci opprimono ma, al contrario, uno stimolo per rivelare le nostre forze interiori, al fine di migliorarci. Un detto afferma: ogni difficoltà della vita è una “spinta” del Creatore per mandarci ancora più in alto.
Un’altra causa che potrebbe ostruire il nostro Nètzakh è quando abbiamo percorso delle strade con determinazione, per poi scoprire che erano sbagliate. Queste situazioni possono “soffocare” la forza del nostro Nètzakh e vanno risolte lasciandole nel passato.
Oggi abbiamo un giorno intero per togliere questi blocchi e sviluppare questa qualità che ognuno possiede, chi più chi meno. Con Nètzakh in Nètzakh dobbiamo “illuminare” la determinazione a perseguire i nostri sogni, ideali e ambizioni.
SOLO VINCENDO LE SFIDE CHE ABBIAMO DAVANTI POSSIAMO MIGLIORARE E PERSEGUIRE LA NOSTRA VERA MISSIONE IN QUESTO MONDO.
Una toccante storia chassidica può aiutarci a comprendere meglio:
In Russia, ai tempi del Rebbe Rayàtz (il suocero del Rebbe di Lubàvitch) il comunismo aveva reso impossibile per gli Ebrei osservare e studiare la Torà. Persecuzioni, imprigionamenti e dure condanne erano all’ordine del giorno. Chi voleva restare rischiava la sua vita in ogni momento.
Il Rebbe Rayàtz chiese ai suoi chassidìm di rimanere e di impegnarsi al massimo per rafforzare l’Ebraismo, anche a costo della vita. Grazie al loro sforzo, lo studio della Torà e l’adempimento delle mitzvòt vennero garantiti con ogni mezzo ed espediente. Alcuni chassidìm furono mandati, anche per dieci anni, nelle carceri siberiane, solo per aver cercato di costruire un mikvé. Lo stesso Rebbe Rayàtz fu incarcerato e sottoposto a tutti i tipi di violenza e minacce. Nonostante che, apparentemente, fosse in “potere” dei comunisti, il Rebbe riuscì a mantenere sempre l’impegno che aveva preso con se stesso di non essere asservito a nessuno, tranne che ad Hashèm.
In uno dei suoi tanti arresti intimidatori, il Rebbe di Rayàtz venne interrogato: i poliziotti volevano sapere da lui i nomi dei suoi collaboratori, i membri dell’organizzazione Chabad in Russia. Il Rebbe non si lasciò intimidire nonostante i maltrattamenti. A un certo punto, uno dei funzionari di polizia gli puntò la pistola alla tempia e minacciò di usarla, se non avesse parlato. Il Rebbe guardò l’uomo senza un’ombra di paura e gli disse: “Questa (la pistola) può spaventare chi ha un solo mondo e tanti dei, ma NON chi ha, come me, due mondi (il mondo della materia e quello futuro) e UN SOLO DIO!”.
Il Rebbe Rayàtz e tutto il movimento Chabad riuscirono con tenacia e determinazione a perseguire la diffusione della Torà (nètzakh di nètzakh) contro un nemico apparentemente “invincibile”: la temibile Russia comunista.
Solo con la forza di Nètzakh possiamo illuminare questo esilio, andare controcorrente e portare la redenzione subito, MASHIAKH NOW!
Riflessione:
possiedo la Determinazione e coerenza necessaria per portare a compimento gli obiettivi che mi sono prefissato? Affronto gli ostacoli che incontro come uno stimolo per migliorare me stesso? Sono schiavo dei miei vizi?
Esercizio:
cerchiamo di vincere una sfida che, fino ad oggi, ci ha sempre sconfitto. Ad esempio, usiamo la determinazione per liberarci da un vizio che ci rende dipendenti (alcool, fumo…)
Proverbio:
Non aver paura di essere solo!
I leoni camminano da soli, le pecore camminano in gruppo…Giorno Ventisei dell’Òmer
3 settimane e 5 giorni
HOD in NÈTZAKH – UMILTÀ nella DETERMINAZIONE
11 di Iyàr – giovedì sera 8° Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21,07)
26° giorno: questa sera abbiamo il vigore di rettificare il quinto aspetto del sentimento di Nètzakh: Umiltà nella Determinazione.
Nètzakh rappresenta la qualità dell’anima che ci permette di realizzare con determinazione le nostre aspirazioni e ambizioni.
Hod è l’attributo che ci consente di rimanere umili, anche se siamo dotati di grandi qualità.
Stasera Hashèm ci dona la forza di perfezionare il nostro Nètzakh, facendo brillare l’Hod, Umiltà, presente nella Determinazione. In questo giorno, possiamo riuscire a non dare valore solo alle nostre idee, poiché Hod costringe Nètzakh a non cedere all’EGO. La determinazione data da Nètzakh, infatti, può diventare il più grande motore per la realizzazione personale (ad esempio nel lavoro o nella famiglia), ma può anche causare la rovina economica o affettiva di un individuo, se non viene addolcita dall’umiltà di Hod.
Quindi, questo giorno dell’Òmer ci permette di acquisire la consapevolezza che la nostra capacità di perseverare, in qualsiasi cosa, non è un sentimento egoista, ma è un aspetto della nostra seconda anima (dal basso): Rùakh, la fonte delle emozioni. Perciò l’ingrediente dell’umiltà intensifica la forza della continuità, perché solo l’umiltà, aggiunta alla determinazione, rivela che Nètzakh è il motore che alimenta gli altri attributi e non l’ego.
Nelle Massime dei Padri è scritto: “Assè lekhà rav - procurati un maestro”. Ogni persona deve cercare un’autorità imparziale con la quale confrontarsi. Questo per essere sicuro che le scelte, che ognuno compie nella vita, non siano condizionate da esigenze personali. Il Rebbe dice che la Mishnà delle Massime dei Padri ci insegna che prima di prendere ogni decisione delicata, bisogna sempre sentire l’opinione imparziale di un conoscente che ci vuole bene, a condizione di attuare il suo verdetto e di sottomettere il nostro Io a esso (hod). La nostra determinazione (nètzakh), può accecarci con la sua grande luce e impedirci di vedere alcuni aspetti di notevole importanza. Occorre il soccorso dell’umiltà (hod) per dare un aiuto che bilanci e perfezioni la nostra tenacia.
Un episodio della Torà può aiutarci a comprendere:
La parashà di Shemòt descrive uno dei grandi miracoli vissuti da Israèl all’uscita dall’Egitto. All’apertura del Mar Rosso, il popolo ebraico, nella terribile situazione di avere il mare di fronte e gli Egiziani che li inseguivano alle spalle, si divise in quattro differenti gruppi: chi pensava di buttarsi in mare e morire, chi voleva tornare in Egitto, chi credeva di dover combattere e chi pensava che l’unica possibilità fosse pregare.
Solamente grazie a Nakhshòn figlio di Amminadàv che si gettò (con i suoi fedelissimi) nelle acque agitate il mare si aprì.
Nakhshòn sapeva che, riguardo alla loro uscita dall’Egitto, Dio aveva detto che dovevano entrare nel mare e che questo si sarebbe aperto. Per questo, motivo Nakhshòn decise che nessun ostacolo lo avrebbe fermato, né il mare impetuoso, né la paura degli egizi.
Dei seicentomila uomini adulti usciti dall’Egitto, Nakhshòn e i suoi fedelissimi furono gli unici e i primi a buttarsi senza stare troppo a pensare o fare dei calcoli.
Nakhshòn si buttò con impeto, solo perché questa era la volontà di Hashèm. Riconoscendo una volontà superiore alla sua, accettò di mettere in gioco la sua esistenza. Nakhshòn, grazie all’umiltà che gli permise di sottomettersi (hod) alla volontà di Hashèm, riuscì, con inusuale tenacia (nètzakh), a compiere un’azione che riteneva giusta, senza farsi condizionare da niente e da nessuno.
Solo grazie all’umiltà (hod) possiamo aggiungere l’ingrediente che neutralizza l’ego di Nètzakh, la predisposizione a sacrificarsi per un ideale. Hod riesce a darci un impulso che deriva dalla forza della nostra anima che, essendo una parte di Dio, è infinita e può farci superare ogni ostacolo, anche il “mare” più agitato.
Riflessione:
attribuisco il mio successo unicamente alla forza della mia determinazione? Ascolto solo me stesso quando perseguo quello che ritengo giusto?
Esercizio:
quando nel lavoro ci si presenta un grande affare, consigliamoci con un collega o con un amico esperto di questa materia. Non permettiamo che i successi passati ci diano una sicurezza eccessiva.
Se un grande banchiere americano, il sig. Chase, andava sempre dal Rebbe per chiedere consiglio, anche noi possiamo sforzarci nel ricercare un parere da un amico competente, prima di prendere una decisione importante.
26° Giorno
Giorno Ventisei dell’Òmer
3 settimane e 5 giorni
HOD in NÈTZAKH – UMILTÀ nella DETERMINAZIONE
11 di Iyàr – giovedì sera 8° Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21,07)
26° giorno: questa sera abbiamo il vigore di rettificare il quinto aspetto del sentimento di Nètzakh: Umiltà nella Determinazione.
Nètzakh rappresenta la qualità dell’anima che ci permette di realizzare con determinazione le nostre aspirazioni e ambizioni.
Hod è l’attributo che ci consente di rimanere umili, anche se siamo dotati di grandi qualità.
Stasera Hashèm ci dona la forza di perfezionare il nostro Nètzakh, facendo brillare l’Hod, Umiltà, presente nella Determinazione. In questo giorno, possiamo riuscire a non dare valore solo alle nostre idee, poiché Hod costringe Nètzakh a non cedere all’EGO. La determinazione data da Nètzakh, infatti, può diventare il più grande motore per la realizzazione personale (ad esempio nel lavoro o nella famiglia), ma può anche causare la rovina economica o affettiva di un individuo, se non viene addolcita dall’umiltà di Hod.
Quindi, questo giorno dell’Òmer ci permette di acquisire la consapevolezza che la nostra capacità di perseverare, in qualsiasi cosa, non è un sentimento egoista, ma è un aspetto della nostra seconda anima (dal basso): Rùakh, la fonte delle emozioni. Perciò l’ingrediente dell’umiltà intensifica la forza della continuità, perché solo l’umiltà, aggiunta alla determinazione, rivela che Nètzakh è il motore che alimenta gli altri attributi e non l’ego.
Nelle Massime dei Padri è scritto: “Assè lekhà rav - procurati un maestro”. Ogni persona deve cercare un’autorità imparziale con la quale confrontarsi. Questo per essere sicuro che le scelte, che ognuno compie nella vita, non siano condizionate da esigenze personali. Il Rebbe dice che la Mishnà delle Massime dei Padri ci insegna che prima di prendere ogni decisione delicata, bisogna sempre sentire l’opinione imparziale di un conoscente che ci vuole bene, a condizione di attuare il suo verdetto e di sottomettere il nostro Io a esso (hod). La nostra determinazione (nètzakh), può accecarci con la sua grande luce e impedirci di vedere alcuni aspetti di notevole importanza. Occorre il soccorso dell’umiltà (hod) per dare un aiuto che bilanci e perfezioni la nostra tenacia.
Un episodio della Torà può aiutarci a comprendere:
La parashà di Shemòt descrive uno dei grandi miracoli vissuti da Israèl all’uscita dall’Egitto. All’apertura del Mar Rosso, il popolo ebraico, nella terribile situazione di avere il mare di fronte e gli Egiziani che li inseguivano alle spalle, si divise in quattro differenti gruppi: chi pensava di buttarsi in mare e morire, chi voleva tornare in Egitto, chi credeva di dover combattere e chi pensava che l’unica possibilità fosse pregare.
Solamente grazie a Nakhshòn figlio di Amminadàv che si gettò (con i suoi fedelissimi) nelle acque agitate il mare si aprì.
Nakhshòn sapeva che, riguardo alla loro uscita dall’Egitto, Dio aveva detto che dovevano entrare nel mare e che questo si sarebbe aperto. Per questo, motivo Nakhshòn decise che nessun ostacolo lo avrebbe fermato, né il mare impetuoso, né la paura degli egizi.
Dei seicentomila uomini adulti usciti dall’Egitto, Nakhshòn e i suoi fedelissimi furono gli unici e i primi a buttarsi senza stare troppo a pensare o fare dei calcoli.
Nakhshòn si buttò con impeto, solo perché questa era la volontà di Hashèm. Riconoscendo una volontà superiore alla sua, accettò di mettere in gioco la sua esistenza. Nakhshòn, grazie all’umiltà che gli permise di sottomettersi (hod) alla volontà di Hashèm, riuscì, con inusuale tenacia (nètzakh), a compiere un’azione che riteneva giusta, senza farsi condizionare da niente e da nessuno.
Solo grazie all’umiltà (hod) possiamo aggiungere l’ingrediente che neutralizza l’ego di Nètzakh, la predisposizione a sacrificarsi per un ideale. Hod riesce a darci un impulso che deriva dalla forza della nostra anima che, essendo una parte di Dio, è infinita e può farci superare ogni ostacolo, anche il “mare” più agitato.
Riflessione:
attribuisco il mio successo unicamente alla forza della mia determinazione? Ascolto solo me stesso quando perseguo quello che ritengo giusto?
Esercizio:
quando nel lavoro ci si presenta un grande affare, consigliamoci con un collega o con un amico esperto di questa materia. Non permettiamo che i successi passati ci diano una sicurezza eccessiva.
Se un grande banchiere americano, il sig. Chase, andava sempre dal Rebbe per chiedere consiglio, anche noi possiamo sforzarci nel ricercare un parere da un amico competente, prima di prendere una decisione importante.
27° Giorno
Giorno Ventisette dell’Òmer
3 settimane e 6 giorni
YESSÒD in NÈTZAKH – UNIONE nella DETERMINAZIONE
12 di Iyàr – venerdì sera 9 Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21,08)
27° giorno: questa sera milioni di persone si uniscono assieme per attuare il precetto Divino di rettificare e illuminare la sesta faccia di Nètzakh, l’Unione nella Determinazione.
Nètzakh rappresenta il sentimento di perseguire i propri obiettivi con tenacia e costanza.
Yessòd è l’attributo che permette di creare legami profondi e duraturi di ogni genere.
Questa sera, Hashèm ci dà la forza di raffinare la nostra Determinazione, facendo risplendere l’interclusione di Yessòd presente in Nètzakh. In questo modo otteniamo la capacità di perseguire i nostri progetti attraverso il lavoro di squadra e creare un intenso legame con i nostri colleghi.
Anche il miglior calciatore, dotato delle più grandi qualità tecniche, ma che non gioca assieme agli altri (il cosiddetto “veneziano”) avrà un successo limitato, perché per vincere bisogna essere un gruppo affiatato e compatto.
Una persona molto attiva e costante, nel perseguire un obiettivo, non otterrà i risultati sperati se non creerà un’unione profonda con i suoi colleghi. Il dono di poter raffinare questo 27° sentimento ci permette di rendere Nètzakh completo e luminoso.
Una bella storia chassidica può aiutarci a comprendere:
due studenti della Yeshivà di Lubàvitch giungono in un kibbutz nel sud di Israele, per condurre la preghiera e garantire un minyàn per la festa di Rosh Hashanà. Dicono fra loro i due studenti: “Se Dio vuole, oggi, per la prima volta dalla fondazione del kibbutz, si sentirà il suono dello Shofàr”. Passata un’ora, dentro la sala adibita a sinagoga c’erano solo nove persone. A un certo punto, uno degli studenti si ricorda di aver visto qualcuno entrare in uno degli uffici del kibbutz. “Vado a chiamarlo” dichiara, ma gli uomini presenti gli ribattono: “È ovvio che non vivi qui, perché se tu lo conoscessi, non ti verrebbe in mente di chiamarlo. Si tratta del segretario del kibbutz, uno dei fondatori, un tipo molto, ma molto lontano dall’Ebraismo”.
Tuttavia, i due giovani non demordono, quindi uno di loro si avvia verso gli uffici, bussa ed entra. Il segretario del kibbutz lo guarda sorpreso. Il giovane prende coraggio e gli dice: “Io e un altro compagno siamo venuti per celebrare Rosh Hashanà e abbiamo bisogno di dieci persone, stiamo per cominciare, ma ci manca solo una persona. Venite, per favore”. Un’aria di sdegno traspare dagli occhi del segretario che gli risponde con un secco “No!”. Il giovane riflette tra sé: “Emozioni e fede non sono ciò che potranno smuoverlo. Cercherò di spiegargli la cosa in modo logico e razionale”.
Quindi, ritornando alla carica, gli dice: “In questo kibbutz, voi siete il RESPONSABILE con il compito di rispondere ai bisogni dei residenti. Voi, nel vostro ruolo, DOVETE venire per garantire questo servizio”. Un minaccioso silenzio riempie l’ufficio, ma alla fine il funzionario accetta: “Okay! Vi raggiungerò fra poco. Prima passo a casa a mettermi le scarpe”.
Emozionato e felice il giovane torna alla sinagoga. Poco dopo, il segretario entra nel tempio, esitante e imbarazzato, senza sapere bene cosa fare. Alla fine, il segretario rimarrà lì per tutto il tempo, fece una salita alla Torà e ascoltò il suono dello Shofàr per più di 100 volte. Emozionato come un bambino, di tanto in tanto si asciugò le lacrime con l’angolo di uno sbrindellato tallìt. Questa è la prima delle tante volte che il segretario entrerà in una sinagoga.
I due studenti ebbero successo, poiché la loro determinazione era accompagnata da un sentimento di legame verso una persona che POTEVA sembrare lontana da loro. Riuscirono a formare con determinazione (nètzakh) un gruppo di 10 persone, poiché riuscirono a coinvolgere anche il laico segretario del kibbutz, trasmettendogli un sentimento di vicinanza (yessòd).
Il Rebbe di Lubàvitch ci insegna che la missione della nostra generazione è proprio Yessòd in Nètzakh: unire Israèl e avvicinarlo alle proprie radici con sacrificio e altruismo.
Riflessione:
le mie ambizioni nel lavoro mi impediscono di coltivare delle profonde amicizie con i colleghi?
Esercizio:
il rapporto di coppia non richiede solo continuità e tenacia per funzionare. Occorre usare la nostra determinazione per alimentare il legame matrimoniale. Fare una passeggiata o studiare frequentemente assieme, non è un optional. Occorre sempre ricreare con tenacia (nètzakh) un legame sempre più profondo (yessòd) con il proprio coniuge.
28º Giorno
Giorno Ventotto dell’Òmer
4 settimane
MALKHÙT in NÈTZAKH – REGALITÀ nella DETERMINAZIONE
13 di Iyàr – sabato sera 10 Maggio
28° giorno: questa sera Hashèm ci dona la capacità di innalzare l’ultimo aspetto di Nètzakh, la Regalità nella Determinazione.
Nètzakh è l’attributo che ci consente di perseverare e vincere le sfide della vita.
Malkhùt è la capacità di comunicare, organizzare e comandare. Tutte doti che si devono coniugare alla fiducia in sé e alla propria regalità e nobiltà.
In questo 28° giorno abbiamo la forza aggiuntiva di migliorare la nostra determinazione, illuminando Malkhùt presente in Nètzakh. Quando la Regalità si rivela nella Determinazione siamo capaci di perseverare in modo organizzato e comunicativo. Ad esempio, il più grande progetto, se non organizzato bene e promosso con il giusto marketing, non riceverà il successo che merita.
Inoltre, Malkhùt in Nètzakh consente di perseverare mantenendo l'autostima e quindi di capire il proprio ruolo nel mondo, senza farsi intimidire dalle difficoltà.
Un’esemplare Regalità nella Perseveranza, la possiamo trovare nella figura stessa del mio Maestro, il Rebbe di Lubàvitch:
il Rebbe, Menachem Mendel Schneerson, il settimo leader della dinastia Chabad, è uno dei più grandi leader che il popolo ebraico abbia avuto negli ultimi secoli.
Lui è riuscito a coniugare eccezionali doti di leadership, capacità di comunicazione e di organizzazione, fondando istituzioni chassidiche a fini educativi, sociali e culturali. Inoltre, sotto la sua guida, sono sorte centinaia di scuole e centri di Torà e migliaia di discepoli sono stati inviati come emissari in ogni parte del mondo.
QUESTI RISULTATI NON FURONO CERTO REGALATI!
Fin dall’inizio, le idee “profetiche” e controcorrente del Rebbe furono osteggiate e derise da molti. Grazie alla sua tenace convinzione (nètzakh) di agire per una missione divina, che trascendeva la sua volontà e i suoi bisogni, il Rebbe, piano piano, ma costantemente, convinse e acquistò sempre più la stima degli scettici in tutto il mondo. Accompagnato da tanta Regalità, il Rebbe riuscì e riesce anche oggi a far emergere la dignità e l’autostima in ognuno (malkhùt).
Centinaia di migliaia di fedeli e milioni di simpatizzanti, lo considerano “il Rebbe”: l’uomo responsabile di aver risvegliato la coscienza e la consapevolezza dell’Ebraismo, dopo l’inferno della Shoà.
Una forte autostima, la capacità di comunicare e rispettare la dignità degli altri (malkhùt), sono qualità fondamentali per superare ogni ostacolo con successo (nètzakh).
Riflessione:
nonostante la vita mi porti a correre molto, riesco a rimanere consapevole del mio ruolo nel mondo e non perdere la mia dignità? Riesco a coniugare la tenacia nel lavoro con una buona organizzazione?
Esercizio:
perseguire con determinazione (nètzakh) i bisogni familiari, ma senza comunicare con la “dolce metà”, vuole dire mancare di Regalità (malkhùt). Nel 28° attributo scopriamo la forza di vincere le nostre sfide con comunicatività (malkhùt in nètzakh).
29° Giorno
Giorno Ventinove dell’Òmer
4 settimane e 1 giorno
KHESSÈD in HOD – AMORE nell’UMILTÀ
14 di Iyàr – domenica sera 11 Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21,30)
29° giorno: oggi, iniziamo la costruzione del quinto piano del “palazzo” della nostra formazione. Da questa sera abbiamo la facoltà di illuminare il quinto sentimento di Hod-Splendore, per una settimana. Questo attributo cade sempre in occasione di due ricorrenze: la festa di Pèssakh Shenì (la luce di Pèssakh in forma elevata) e nell’anniversario di Rabbi Mèir bà’al hanès (il nome Mèir significa luce).
Hod, letteralmente “Splendore”, rappresenta l’attributo dell’umiltà. Ognuno di noi ha dentro di sé un diamante che è la scintilla divina. Tuttavia, a volte, quando è coperta dall’ego, questa scintilla non brilla come dovrebbe. Dopo la settimana di Nètzakh (l’ambizione), dove il nostro io era molto esaltato (anche se per scopi positivi e per vincere le sfide), nella quinta settimana arriva l’antitesi di Nètzakh, Hod. Tale sentimento ci permette di equilibrare il nostro IO lavorando sull’umiltà. Così, il “diamante innato” in noi inizierà a brillare e riflettere lo splendore di Hashèm.
Hod significa anche ringraziamento inteso come lehodòt - essere grati riconoscenti ad Hashèm per tutto quello che abbiamo; in quanto tutto ciò che possediamo non è solo frutto del sudore della nostra fronte. Tramite questa Sefirà ci svuotiamo del nostro ego e creiamo lo spazio per far scendere in noi la grazia divina che ci consente di uscire dalle nostre limitazioni umane.
Khèssed è l’attributo dell’Amore, Passione e Vitalità che ci spinge a dare, sempre e comunque.
In questo giorno abbiamo la forza aggiuntiva di raffinare la nostra Umiltà, illuminando Khèssed presente in Hod. Stasera, impariamo a mettere al servizio dell’Umiltà l’entusiasmo dell’Amore. Questo permetterà alla nostra Umiltà (hod) di proiettarsi all’esterno con vitalità. Un’Umiltà sana non deve demoralizzare, bensì portare amore e gioia. L'Umiltà porta amore, perché dona la capacità di elevarsi al di sopra di se stessa, quindi arrivare a sentire il prossimo come una parte di sé. L'Umiltà che non genera passione è come una candela dalla luce fioca.
Una storia talmudica può aiutarci a capire meglio:
Prima della distruzione del secondo tempio, viveva un grande Tzaddik chiamato El’azàr ish birta che era molto, ma molto povero! Era conosciuto da tutti per due grandi qualità: l’umiltà e la benevolenza verso il prossimo. Un giorno la moglie dello Tzaddik gli dice, perentoriamente, che la loro unica figlia doveva sposarsi e che serviva urgentemente la dote per il matrimonio.
L’uomo non si scompose, prese una piccola borsa con i pochi risparmi, e andò al mercato della città. Lì giunto, scorse gli addetti alla tzedakà che cercavano, in tutti i modi, di non farsi vedere da lui, poiché sapevano che lo Tzaddik era tanto povero quanto generoso. Ma oramai era troppo tardi!
El’azar in un attimo fu davanti a loro e gli chiese per quale giusta causa raccogliessero i soldi. Essi risposero che era per il matrimonio di due orfani. Lui allora disse: “Giuro su Dio che questa cosa è più importante del matrimonio di mia figlia!”. Detto fatto! Prese tutta la borsa dei soldi e la diede ai responsabili.
Per non tornare dalla moglie a mani vuote, il povero Tzaddik continuò comunque il suo giro al mercato e comprò qualche chicco di grano. Arrivato a casa, mise questi pochi chicchi nel suo piccolo deposito per il grano, completamente vuoto, e scappò al centro di studio, perché era spaventato della reazione di sua moglie per aver sperperato gli ultimi risparmi che lei aveva raccolto con fatica per il matrimonio della figlia.
L’indomani, la figlia, con il viso pieno di gioia, corse a ringraziare il padre per tutto quel grano. Miracolosamente, durante la notte il deposito del grano strabordò, tanto che non era possibile aprire la porta.
Lo Tzaddik guardò sua figlia con affetto e gli diede un grande insegnamento di Umiltà: “prendi solo la parte minimale che ti serve, il resto spetta ai poveri, poiché è detto che una persona retta non deve trarre vantaggio da un miracolo!”.
Il grande Tzaddik, nonostante la sua umile povertà (hod), agiva senza paura verso i bisognosi e con amore dava in tzedakà quel poco che possedeva (khèssed). Conscio del fatto che tutto ciò che abbiamo in realtà appartiene a Dio, era umile, ma amorevolmente vitale nel farsi tramite dell’amore di Hashèm per il bene della società (khèssed in hod).
Riflessione:
la mia umiltà mi consente di amare di più, oppure mi inibisce e blocca?
Esercizio:
siamo sempre disposti a metterci da parte e ci sentiamo piccoli, poiché siamo consapevoli che tutto in fondo viene da Dio. Tuttavia, per rendere vivace la nostra umiltà e ringraziare Hashèm con entusiasmo per tutto quello che ci dona, facciamo un atto di bontà prima di pregare.
In alcune circostanze, possiamo aumentare il nostro fervore, aiutando il prossimo dandogli vita. In questo modo il nostro atto di bontà ci tornerà indietro, dandoci più vitalità, così preghiamo e ringraziamo Dio con trasporto e calore (khèssed in hod).
30° Giorno
Giorno Trenta dell’Òmer
4 settimane e 2 giorni
GHEVURÀ in HOD – DISCIPLINA nell’UMILTÀ
15 di Iyàr – lunedì sera 12 Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21,45)
30° giorno: stasera riceviamo l’energia per illuminare la Disciplina nell’Umiltà.
Hod è principalmente l’attributo dell’umiltà che ci permette di capire che bisogna essere grati a Dio per tutto quello che abbiamo. Questa Sefirà ci dona la capacità di vincere le sfide abbassando la testa, in modo che “passi sopra di noi l’onda”. Hod è la facoltà di annullare il nostro IO e di agire nella consapevolezza di essere solo il tramite di una volontà superiore (Hashèm).
Ghevurà è l’attributo del rigore, la forza di imporre delle regole attraverso la disciplina.
Questa sera abbiamo la capacità di raffinare la nostra Umiltà, illuminando Ghevurà presente in Hod. La Disciplina nell’Umiltà ci aiuta a riequilibrare Hod limitandolo: un Hod infinito rischia di portare l’individuo a cancellare totalmente la propria personalità e annullare se stesso. Ramà scrive che la prima fondamentale regola del codice di leggi (Shulkhàn Arùkh) è quella di non sentirsi umiliato davanti a chi ci deride durante il servizio divino, ma anzi occorre opporsi a esso con sicurezza. Se è vero che l’orgoglio è il “male assoluto”, l’eccesso di umiltà rischia di renderci passivi davanti agli ostacoli.
Anche se l’umiltà è una qualità fondamentale, che non deve avere limiti, un maestro per guidare una comunità deve sempre conservare un minimo di ego. A quanto deve corrispondere l’ego residuo? La risposta la troviamo nel Talmùd (Sotà 5a), dove è scritto che un maestro deve avere un OTTAVO, DI un OTTAVO di ego, pertanto, una minima parte deve pur sempre rimanere.
Proprio Ghevurà in Hod aiuta a rispettare questo precetto fondamentale, tanto da essere considerato una delle regole basilari della vita ebraica.
Un discorso del Rebbe può aiutarci a comprendere meglio:
Mordekhày, la guida del popolo Ebraico al tempo degli avvenimenti di Purìm, era chiamato “Ish Yehudì” (Uomo di Giuda). Nell’Ebraico odierno, la parola Yehudì significa semplicemente Ebreo. Ai tempi in cui fu scritto il Libro di Ester, “Yehudì” poteva riferirsi al fatto che il nome Yehudà, così come la parola Yehudì, provengono dal termine “hoda’à”, che significa “riconoscimento” e, per estensione, anche ‘ringraziamento’: riconoscere il bene che ci viene dato vuole dire essere grati e ringraziare. Questa è una caratteristica essenziale del bitùl – annullamento (hod): riconoscere con sincera consapevolezza che solo Dio è l’unica vera esistenza, mentre il mondo, noi compresi, non siamo che “nullità”.
La parola Yehudìm fu associata al popolo ebraico, proprio perché essa riassume la qualità dell’annullamento di fronte a Dio. Mordekhày fu presentato come Ish Yehudì, in quanto, come leader ebreo, egli rappresentava questa caratteristica. Egli fu di fatto l’autentico “uomo dell’hoda’à (riconoscimento e ringraziamento)”.
Hamàn, all’opposto, impersonifica proprio il contrario del bitùl. Egli rappresentò l’arroganza che riflette la sua origine spirituale: era un discendente della nazione di Amalèk che rappresenta la superbia. Per questo Hamàn cercò di eliminare tutti gli Ebrei (Yehudìm).
Se gli Ebrei avessero rinunciato alla loro fede nel Creatore (Dio non voglia), ciò avrebbe soddisfatto Hamàn, poiché era proprio il loro essere Yehudìm, il popolo dell’hoda’à e dell’annullamento, che egli non poteva tollerare. Essi però non scelsero di salvare se stessi a spese della loro fede. Gli Ebrei, e Mordekhày su tutti, rimasero invece saldi, pronti a dare la loro vita per l’unità di Hashèm.
Mordekhày, nel suo stato di perfetta umiltà e annullamento verso Dio (hod), pregò e digiunò, con grande fede in Hashèm, ma poi limitò la sua umiltà (ghevurà) e non attese passivamente gli eventi. Di fronte alla minaccia dello sterminio degli ebrei, Mordekhày agì prontamente, quindi mobilitò Ester e tutto il popolo ebraico contro il decreto del Re Assuero e contro Hamàn (Ghevurà in Hod). E gli ebrei ottennero una grandiosa vittoria e Hamàn e tutta la sua famiglia furono uccisi.
Riflessione:
la mia umiltà rischia di cancellare la mia personalità? In nome dell’umiltà mi capita di rimanere in silenzio o di essere neutrale di fronte alla malvagità?
Esercizio:
se un figlio inizia ad avere comportamenti sbagliati non “nascondiamoci” dietro la veste di un eccesso di umiltà (hod). Limitiamo la nostra modestia e affrontiamo il dovere di educare come un genitore deve fare (ghevurà in hod).
31º Giorno
Giorno Trentuno dell’Òmer
4 settimane e 3 giorni
TIFÈRET in HOD – COMPASSIONE nell’UMILTÀ
16 di Iyàr – martedì sera 13 Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21,45)
31° giorno: stasera abbiamo il privilegio di illuminare la Compassione nell’Umiltà.
Hod dona la qualità di essere umili, di mettere da parte il nostro ego e di accettare ed essere riconoscenti per quello che abbiamo e per le situazioni, talvolta problematiche, in cui siamo immersi. Hod può essere simboleggiato da un giunco che all’arrivo di una tempesta si piega, ma non si spezza, poiché questo sentimento ci dona la forza di abbassarci per non farci travolgere.
Tifèret significa Compassione e Clemenza. Qualità che permettono di percepire i problemi degli altri.
Nel 31° giorno dell’Òmer abbiamo la carica di raffinare la nostra Umiltà, illuminando l’attributo di Tifèret presente in Hod. La compassione di Tifèret può essere un ponte per giungere all’umiltà di Hod. Se qualcuno è troppo egocentrico può uscire da questa “trappola”, tramite la comprensione del prossimo. Questo può aiutare a mettere da parte noi stessi e rivelare l’umiltà che deriva dal quinto attributo di Hod, spesso nascosto proprio dalla innata natura vanitosa dell’uomo.
Una storia chassidica può illuminare un altro aspetto del 31° attributo:
un venerdì mattina, Yitzkhàk stava rientrando a casa da un viaggio di affari. La sua auto ebbe un guasto e dovette trascorrere lo Shabbàt in una piccola cittadina dove vi era una sinagoga (dato che non si può guidare di Shabbàt). Sul far della sera, si recò al tempio, dove a stento si riuscì a riunire il minyàn (dieci persone). Lì c’era un uomo anziano, Ya'akòv Frankenovich (chiamato da tutti Yankel), che gli chiese di essere suo ospite per Shabbàt. Yitzkhàk gli rispose che sarebbe stato felice di accettare. Al termine della preghiera i due andarono a casa di Yankel che viveva da solo e, sorprendentemente, la tavola era già apparecchiata per due!? Yankel disse che da anni era solito preparare un altro piatto, per un eventuale ospite. Cenarono per ore, parlarono di Torà e cantarono assieme melodie spirituali del santo Shabbàt.
Il vecchio Yankel pregò Yitzkhàk di essere suo ospite anche per la notte, poi gli raccontò la sua storia: era nato in Russia, ma a causa delle persecuzioni il nonno decise di trasferirsi in quella piccola cittadina inglese. Con l’arrivo del “progresso” la generazione successiva se ne andò via. Però il nonno di Yankel si rifiutò di lasciare il villaggio e, prima di morire, gli disse: “Chi lo sa? Forse un giorno si presenterà un ebreo, e tu potrai compiere il precetto dell’ospitalità”. E Yankel, da ebreo umile, diede retta al nonno e rimase lì.
Improvvisamente Yitzkhàk si rese conto di essere quell’ospite. Al termine del Sabato i due si salutarono, con la promessa di rivedersi. Dopo poco tempo, Yitzkhàk ritornò nella cittadina e scoprì che il suo amico Yankel era morto e che gli aveva lasciato una lettera dove vi era scritto: “mio caro amico, sento di essere alla fine dei miei giorni e spero che il merito dell’ospitalità testimoni a mio favore in Cielo”. Yitzkhàk pianse in silenzio e da quel giorno stabilì come regola, a casa sua, di aggiungere sempre un posto in più a tavola, per qualsiasi ospite improvviso.
Il vecchio Yankel, solo e ammalato, nella sua umiltà (hod) attese tutta la vita per compiere la grande mitzvà dell’ospitalità, spinto da una genuina compassione (tifèret) verso il prossimo. Il desiderio di essere di aiuto a un passante in difficoltà fece risplendere la sua umiltà, fino al punto di rimanere in quella piccola cittadina, senza pensare ai suoi interessi personali (tifèret in hod).
Riflessione:
la mia umiltà si esprime con empatia verso gli altri? La mia percezione dei bisogni dell’altro mi permette di superare la mia modestia e accettare il mio ruolo nella vita?
Esercizio:
riconoscenti verso Dio per tutto quello che abbiamo, tendiamo a essere passivi e annullarci nelle dinamiche familiari. Facciamo in modo che la percezione dei problemi dell’altro (tifèret) equilibri la nostra umiltà (hod) e ci renda più attivi in famiglia.
32° Giorno
Giorno Trentadue dell’Òmer
4 settimane e 4 giorni
NÈTZAKH in HOD – DETERMINAZIONE nell’UMILTÀ
17 di Iyàr – mercoledì sera 14 Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21,45)
32° giorno: stasera abbiamo la possibilità di illuminare la Tenacia nell’Umiltà.
Hod è l’attributo che permette di trascendere il nostro IO. Questa Sefirà ci rende umili, cioè capaci di essere grati per tutto ciò che abbiamo.
Nètzakh è l’attributo opposto a Hod, poiché rappresenta la perseveranza e coerenza che dona la forza di perpetuare con tenacia i progetti e gli ideali a cui si crede.
Stasera abbiamo la forza aggiuntiva di raffinare la nostra Umiltà, illuminando Nètzakh presente in Hod, possiamo mettere assieme queste due polarità opposte. Oggi, abbiamo l’opportunità di coltivare la facoltà di possedere una grande determinazione per resistere alle prove e perpetuare la nostra umiltà con continuità: sia quando si tratta di comprendere che tutto ciò che siamo o abbiamo è, alla fine di tutto, merito di Hashèm; sia nel riuscire a ringraziarlo per tutto quello che abbiamo.
Infatti, un Hod non “irrobustito” con Nètzakh rischia di essere temporaneo e non solido, poiché alla prima difficoltà il “vuoto” di SÉ, creato dall’umiltà, può essere riempito dalla rabbia e frustrazione.
Ad esempio, la prima preghiera ebraica che si dice appena svegli è “MODE ANI”, con cui si ringrazia (hod) il Creatore per averci ridato l’anima, ma se dopo iniziamo a lamentarci che la casa è piccola, la macchina è vecchia… questa gratitudine è temporanea e inconsistente, senza la tenacia di Nètzakh.
Hod può essere paragonato alla benzina, mentre Nètzakh al motore. Possiamo possedere ettolitri di combustibile, ma senza il motore non si cammina. Perciò, solo quando l’umiltà dell’anima è illuminata dalla spinta di Nètzakh può risplendere sempre, rivelando così che la vera essenza di Hod non è un sentimento di debolezza.
Una storia può aiutarci a capire meglio:
Un viandante ebreo, alla vigilia di Kippùr, si reca in una Sinagoga. La sera, durante la preghiera di Arvìt, l’uomo nota come il suo vicino di posto sia particolarmente assorto nella preghiera e reciti piangendo: “io sono come la sabbia della terra”. Alla mattina, il forestiero vede l’uomo arrivare per primo al Tempio e, come la sera prima, per tutta la funzione rimane impressionato dall’atteggiamento pio, dal fervore e dalla kavanà che mette nella preghiera. Inizia a pensare che la sua umiltà di fronte a Dio sia unica e invidiabile. Al pomeriggio di Kippùr, viene chiamato alla lettura della Torà un membro della comunità. Allora, il viandante assiste a una scena che lo fa rimanere sbalordito: l’uomo “pio” inizia a urlare e agitarsi, perché non era stato chiamato lui.
Il forestiero è INCREDULO! Alla fine della cerimonia di Kippùr gli chiede: “non capisco: eri così assorto nella preghiera, sembravi un angelo tanto eri umile, come è possibile che in un attimo, quando non sei stato invitato a salire alla Torà, ti sei trasformato in una belva feroce?”. L’uomo gli risponde: “vedi quando sono davanti a Dio mi sento piccolo, un nulla! Ma, quando ho visto quel pezzente chiamato alla lettura della Torà, non sono riuscito a trattenere la rabbia. Dovevo essere io a salire, poiché sono MOLTO più devoto”!
L’umiltà (hod) dell’uomo non era perseverante (nètzakh), poiché non riusciva a essere umile, sempre e comunque, anche quando doveva relazionarsi con dei “semplici uomini” e non con Dio. Questa sera abbiamo il privilegio di rettificare questo attributo e poter essere UMILI SEMPRE (nètzakh in hod).
Riflessione:
quando ricevo una lode o una promozione il mio orgoglio si risveglia, oppure capisco che in ogni circostanza devo ricordarmi come il successo non è solo merito mio?
Esercizio:
in famiglia siamo pronti a mettere da parte noi stessi, i nostri hobby o bisogni per il coniuge e i figli. Tuttavia, quando accade qualcosa che ci infastidisce, rischiamo di cambiare subito di umore e perdiamo l’umiltà e la pazienza.
Verifichiamo se la nostra umiltà ha origine dallo splendore dell’anima (hod), oppure è solo insicurezza, perché una VERA umiltà non è condizionabile dalle provocazioni.
34º Giorno
Giorno Trentatré dell’Òmer, LAG BAÒMER
4 settimane e 5 giorni
HOD in HOD – SPLENDORE nello SPLENDORE
18 di Iyàr –
(dopo l’uscita delle tre stelle )
33° giorno: stasera abbiamo la capacità e il merito di illuminare lo Splendore nello Splendore, ovvero di coltivare la nostra umiltà nella sua essenza. Nonostante la naturale predisposizione all’egocentrismo dell’essere umano, l'ego è solo una maschera aggiuntiva alla nostra anima che nasconde la sua luce infinita, ossia una parte di Hashèm che è dentro di noi.
Oggi si celebra Lag BaÒmer. Il giorno in cui Rabbi Shimòn bar Yokhày riceve e rivela i grandi segreti mistici della Torà attraverso lo ZOHAR, il Libro dello Splendore. In questo giorno abbiamo una forza aggiuntiva per cambiare la nostra natura, perché il grande maestro promette tutte le benedizioni del mondo a chi gioisce nel suo grande giorno di Lag BaÒmer.
Hod significa umiltà, ringraziamento e splendore. Ogni Sefirà include sette attributi: sei sono sfaccettature, più un’altra che è l’attributo stesso nella sua essenza, perciò oggi, illuminando Hod presente in Hod, abbiamo l’opportunità di sviluppare la pura essenza di questa Sefirà.
Oggi occorre ritrovare la VERA umiltà: la forza di essere grati verso Dio, per tutto ciò che ci ha donato, senza paura di sembrare deboli o di preoccuparci dell’opinione degli altri. La forza di abbassare la testa quando arriva un’onda è la virtù dei forti, non una debolezza. Infatti, gal-onda ha le stesse lettere e lo stesso valore numerico (33) di lag-לג, il 33° giorno che simboleggia l’attributo dell’umiltà.
In particolare, in questo giorno abbiamo l’opportunità di far “SPLENDERE LA NOSTRA ANIMA”. Ciò è profondamente legato al concetto di umiltà: l’essere umano, se annulla il proprio IO, può fare risplendere la sua anima (che è una parte di Hashèm) e quindi illuminare il mondo con la luce infinita che si trova in essa (Zohar - Splendore).
Uno dei migliori esempi di Hod in Hod è quello del grande Rabbi Shimòn Bar Yokhày (Rashbì), il protagonista di Lag BaÒmer, il giorno dell’Umiltà nell’Umiltà:
Rashbì, un Tanaita discepolo del grande Rabbi Akiva, visse nel periodo in cui i romani perseguitavano gli ebrei e promulgavano leggi per rendere miserabili le loro vite. Rashbì si ribellò al governo romano continuando a studiare la Torà, l’unica “fonte di ossigeno” dell’anima. Pertanto, fu costretto a nascondersi, con suo figlio, in una grotta per tredici anni. I due si alimentarono miracolosamente, per quel lungo periodo, solo mangiando da una pianta di carrubo e bevendo acqua da un ruscello, creato miracolosamente per loro. Si immersero nello studio della Torà giorno e notte seppellendosi, quasi interamente, nella sabbia di una caverna per non consumare l’unico abito che avevano.
Il 18 di Iyàr, Lag BaÒmer, Rashbì ricevette i segreti della Cabala, lo stesso giorno in cui terminò la sua vita terrena.
Da qui ebbero inizio le rivelazioni dei segreti più profondi della Torà (con il libro dello Zohar - Splendore). La parte nascosta della Torà ha rivelato come il “vero bene” è contenuto in ogni cosa e che tutto viene da Dio. Anche nelle situazioni che sembrano negative c’è Dio, poiché da Lui proviene solo il BENE. Questo è il motivo per cui il giorno che segna la dipartita di un Giusto, diviene un giorno di gioia, perché da esso riceviamo le più grandi rivelazioni. A Lag BaÒmer non vi è posto per la tristezza, perciò in questo giorno termina (o si sospende) il periodo di lutto dell’Òmer.
Nonostante questa grande rivelazione, l’impurità non è stata ancora completamente estirpata dal mondo. Questo sarà il compito di Mashìakh: rivelare l’essenza dell’oscurità, fino a che “il buio stesso illuminerà”, come è scritto nello Zohar. Grazie allo studio di questo libro usciremo dall’esilio, possa questo avvenire presto!
Rashbì raggiunse il più alto livello di Hod in Hod, poiché, grazie alla preghiera e alla fede in Hashèm, annullò il proprio io e creò un vuoto interiore (essenza dell’umiltà). Ciò gli permise di essere un recipiente adatto a far scendere su di lui la grazia divina, sotto forma dei mistici segreti della santa Cabala. Rashbì, così, diventò un “lume splendente” (hod in hod), per tutte le generazioni fino ad oggi.
Riflessione:
abbiamo paura di essere umili o ci sentiamo deboli quando lo siamo? Il nostro benessere rischia di farci dimenticare di riconoscere che tutto è per grazia di Dio?
Esercizio:
il successo nel lavoro e una bella famiglia ci rendono soddisfatti. Tuttavia, quando preghiamo o durante le piccole o grandi cose della vita quotidiana, ricordiamoci di rivolgere un pensiero di ringraziamento ad Hashèm, per tutto quello che ci dona. Nulla ci è dovuto, anche se pensiamo di meritarcelo!
Tutto dipende sempre dalla volontà e dalla GRAZIA dell’ONNIPOTENTE.
Soprattutto in questo difficile periodo, dovremmo ricordarci di ringraziare Hashèm, anche per le cose che tendiamo a dare per “scontate e dovute” come, ad esempio, il fatto di poter respirare, di essere vivi e in forze.
34° Giorno
Giorno Trentaquattro dell’Òmer
4 settimane 6 giorni
Yessòd in Hod – Unione nell’Umiltà
19 di Iyàr – Venerdì Sera 16 Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21, 49)
34° giorno: stasera abbiamo la carica di fare brillare la sesta ramificazione del 5° attributo: l’Unione nell’Umiltà.
Hod è l’attributo che dà la forza di annullare il nostro IO e ci permette di realizzare un progetto in maniera oggettiva. L’ego, “occupa spazio”, quindi, a volte ostacola una corretta prospettiva per tutta la “squadra” e ciò ci impedisce di avere un approccio imparziale.
Yessòd è l’attributo che consente di creare legami profondi fuori dalla propria sfera di interessi, ossia fuori dal proprio consueto habitat.
Stasera abbiamo la forza aggiuntiva di raffinare la nostra Umiltà, illuminando Yessòd presente in Hod. Il Legame aiuta a rivelare una solida Umiltà, poiché solo quando ci uniamo completamente a un progetto (ad esempio un percorso di studio, lavoro o famiglia), possiamo annullarci di fronte a esso, mettendo da parte il nostro ego.
Inoltre, l’umiltà è un sentimento che può facilmente “degenerare” in un senso d’inferiorità che spinge a isolarci. Perciò se Hod – Umiltà causa una tendenza all’isolamento, anche lieve, non è il vero Hod.
Tramite il sentimento di Yessòd possiamo evitare tale rischio. La vera Umiltà, si manifesta creando legami tra le persone che tolgono le barriere prodotte dall’ego. Una falsa umiltà, invece, origina da un sentimento di debolezza che ci spinge a separarci dalla società.
Nel 34° giorno dell’Òmer possiamo trasformare un passivo Hod in attivo grazie a Yessòd, illuminando la nostra Umiltà con la tendenza a socializzare.
Un episodio della Torà può aiutarci a capire meglio:
Moshè supplica Dio di risparmiare il popolo Ebraico, dopo il peccato del Vitello d’Oro, “intimandogli”: “Se non perdoni il popolo, cancellami dal Tuo Libro che hai scritto”. Moshè chiede di essere eliminato dalla Torà che è la sua essenza (non a caso viene chiamata Torà di Moshè). Lui è pronto a cancellare tutta la sua essenza - Torà, SOLO per salvare Israèl. Le cui azioni (la costruzione del Vitello d’Oro) costituivano il massimo rinnegamento della Torà, poiché in essa è scritto: “Non avrai altre divinità”.
Moshè nella sua umiltà, era pronto a rinunciare alla Torà per salvaguardare la sua unione con Israèl (yessòd).
L’unione tra Moshè e il suo popolo era così intensa che la caduta spirituale di Israèl, dopo il peccato del Vitello d’Oro, causò anche la discesa di Moshè. Nonostante Moshè non fosse stato in alcun modo coinvolto in quel peccato, quando il vitello fu costruito, Hashèm gli disse “scendi giù”: Moshè non poteva rimanere sul monte con la Torà, mentre Israèl aveva peccato. NEPPURE LA TORÀ POTEVA SEPARARE MOSHÈ DA ISRAÈL.
Moshè, grazie all’importante elemento di Yessòd (unità con il popolo), ha rivelato la sua vera essenza di Hod (umiltà) al massimo livello possibile.
Il 34° attributo, che abbiamo nel cuore, ha permesso all’Umiltà di Moshè di diventare costruttiva, grazie al legame che aveva e ha con il popolo ebraico. Lui si è sacrificato per la salvezza di tutto Israèl, nonostante il peccato del Vitello d’Oro (yessòd in hod).
Riflessione:
La mia umiltà mi separa dagli altri o mi avvicina? La mia umiltà produce risultati anche a lungo termine?
Esercizio:
Usiamo la nostra umiltà per costruire qualcosa di duraturo.
In una coppia può accadere che entrambi i coniugi hanno poca autostima di sé, quindi il loro legame ne risente, indebolendosi. Tuttavia, la vera sfida è quella di ottenere che l’umiltà (hod) incrementi la pace famigliare, Shalom Bait (yessòd), attraverso un confronto continuo. Tramite il confronto e l’unità (yessòd) l’umiltà dei coniugi (hod) diventa costruttiva.
35° Giorno
Giorno Trentacinque dell’Òmer
5 settimane
MALKHÙT in HOD – REGALITÀ nell’UMILTÀ
20 di Iyàr – Shabbat Sera 17 Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21,50)
35° giorno: questa sera abbiamo la forza divina per rettificare l’ultima sfaccettatura di Hod: la Regalità nell’Umiltà.
Hod è l’attributo che ci permette di limitare il nostro ego per il bene di una volontà superiore alla nostra. Questo attributo dona la capacità di essere grati verso chi ci ha fatto del bene.
Malkhùt: è l’attributo della comunicazione, direzione e organizzazione. La Regalità tende a coltivare la propria dignità e comprendere e rispettare quella degli altri.
In questo giorno abbiamo la capacità di raffinare la nostra Umiltà, illuminando Malkhùt presente in Hod. L’umiltà potrebbe essere la conseguenza di un carattere insicuro, di una scarsa fiducia in noi stessi e non il frutto di un’emanazione dell'Hod presente nella nostra anima.
L’attributo della Regalità permette di avere un’umiltà DIGNITOSA e NOBILE. Per raggiungere questo tipo di umiltà bisogna coniugare la consapevolezza del proprio valore, con quella di riconoscere che tutto ci viene da Dio.
Questo è il concetto a cui si riferiscono i nostri Saggi quando dicono: “Il servo di un re è come il re stesso”. Un servo non è considerato come un’entità separata dal suo padrone, ma piuttosto come una sua estensione. Ogni qualità manifestate dal servo non sono proprie, ma derivano dal suo padrone. Analogamente una persona, completamente dedita al Padre Eterno, scopre risorse interiori molto più potenti di quelle che egli possiede di suo. In questo modo si può ottenere un’umiltà attiva, capace di agire nel mondo con autorevolezza.
Una storia Talmudica può aiutarci a comprendere meglio:
C’era una volta una regina, ricca e potente che possedeva gioielli di grande bellezza e valore. Un giorno, la regina perse i suoi gioielli. Disperata, dopo aver cercato dappertutto, decise di mandare i suoi banditori a informare la popolazione che chiunque fosse riuscito a trovare i suoi gioielli, riportandoli entro trenta giorni, avrebbe ricevuto una lauta ricompensa. Però chi, una volta trovati, li avesse trattenuti oltre i trenta giorni, sarebbe stato ucciso.
Rabbi Shemuèl trovò subito i gioielli, ma attese il passare di tutti i trenta giorni e solo allora si recò al palazzo reale e annunciò: “Più di trenta giorni fa ho trovato i gioielli della regina e adesso vorrei consegnargli”. La regina, gli chiese: “Siete arrivato in città solo oggi?” Rispose Rabbi Shemuèl “No mi trovo qui già da trenta giorni”. La regina si meravigliò! “Trenta giorni?! Ma non avete sentito il bando? Sì, ho sentito che chi riportava i gioielli entro trenta giorni sarebbe stato premiato, mentre a chi li tratteneva, sarebbe stato condannato a morte”.
La sorpresa della regina crebbe. “Ma allora, perché li avete tenuti?” Rispose Rabbi Shemuèl “Non volevo che si pensasse che restituissi i gioielli per paura o per ottenere un premio. Volevo che fosse chiaro che li riportavo, perché così comanda la nostra santa Torà e quindi per ADEMPIERE A UN PRECETTO”. Alle parole del saggio Talmudista, la regina provò un grande rispetto per lui e per la sua Torà, quindi esclamò: “Sia benedetto il Dio degli Ebrei”.
Rabbi Shemuèl si comportò, di fronte a una donna ricca e potente, umilmente secondo i precetti della Torà (hod), pur mantenendo la propria dignità e la fede nella volontà di Hashèm (malkhùt), così diede una lezione di umiltà “regale” alla regina (malkhùt in hod).
Riflessione:
quando arriva una grande onda, troppo alta da saltare, che ci costringe ad abbassarci, per vincere la prova riusciamo a mantenere la stima in noi stessi, oppure ci sentiamo dei perdenti?
Esercizio:
se nell’ambito lavorativo ci sentiamo umiliati, quando si cede di fronte alle richieste di un collega o di un superiore, significa che l’umiltà manca di dignità. Cerchiamo di rinforzare la stima (malkhùt) nell’umiltà, così quando dovremmo abbassare la testa (hod) non ci sentiremo dei frustrati.
Grazie alla regalità al servizio di Hod, diventiamo “autorevolmente umili” (malkhùt in hod).
36° Giorno
Giorno Trentasei dell’Òmer
5 settimane e 1 giorno
KHÈSSED in YESSÒD – BENEVOLENZA nel UNIONE
21 di Iyàr – domenica sera 18 Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21, 53)
36° giorno: stasera abbiamo la carica per rettificare la Benevolenza nell’Unione.
Yessòd (fondamenta) è il sesto attributo che corrisponde alla sesta Sefirà e ci permette di consolidare le nostre relazioni interpersonali, creare legami profondi, fino a farci diventare un tutt’uno con il prossimo o con un progetto (studio, lavoro…).
Nelle cinque settimane precedenti, abbiamo sviluppato molti sentimenti: amore, disciplina, compassione, determinazione e umiltà. Tutti sentimenti che hanno la caratteristica di lasciare il donatore e il ricevente come due entità separate. Questi attributi non possono creare una vera unione con un alunno, un amico o con un progetto di lavoro etc. Perciò abbiamo bisogno di Yessòd – Unione, tra chi dà e chi riceve, per permettere a questi cinque sentimenti di essere efficaci.
L’unione presuppone il saper riconoscere il valore e l’esistenza di altre persone e creare una fusione con loro. Se qualcuno si sentisse poco socievole, questa è la settimana ideale per aggiustare questo difetto.
Khèssed è l’attributo che ci fa amare con passione. Khèssed illumina il nostro IO rendendolo caloroso e vivace.
Nel 36° giorno raffinando la nostra Unione, illuminando Khèssed presente in Yessòd, possiamo riuscire a creare LEGAMI PASSIONALI con l’esterno. La passione è l’ingrediente fondamentale per avere vitalità con l'oggetto del nostro legame. Per esempio, se non si ama intensamente il titolo di studio che si vuole raggiungere, non si potrà avere un buon risultato. Come dice il Talmud, nelle Massime dei Padri: BISOGNA STUDIARE SOPRATTUTTO CIÒ CHE SI AMA!
Lo sviluppo del sesto attributo è la base di tutte le relazioni e in particolare per creare una vera armonia coniugale.
Una storia sul Rebbe può aiutarci a capire:
Daniel, un giovane ebreo di trent’anni, privo del padre dalla nascita, a cinque anni era rimasto orfano anche di sua madre, colpita da una malattia che l’aveva portata alla morte. In qualche modo, il giovane era arrabbiato con sua madre per averlo “abbandonato”. Gli anni passarono e, anche se sua madre era una donna religiosa, Daniel si allontanò sempre di più dall’Ebraismo. Per lui era come un modo per “vendicarsi” del fatto che sua madre l’aveva “lasciato solo”. Nonostante ciò, aveva un’idea in testa che non gli dava pace: andare dal Rebbe di Lubàvitch. Una notte, Daniel ebbe un’udienza privata al ‘770’, il “quartier generale” del Rebbe.
Una volta entrato, Daniel si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania del Rebbe senza dire niente. Il Rebbe lo guardò per alcuni secondi e poi gli disse: “Io ti conosco”. Daniel scuotendo la testa, disse: “Me? No, non me!” Il Rebbe continuò: “Ho ricevuto una lettera alcuni anni fa a proposito di te”. “A proposito di me?” E chi avrebbe scritto una lettera su di me?”, rispose Daniel incredulo.
Il Rebbe si alzò, tirò fuori una lettera da un armadietto e tornò a sedersi (da notare che il Rebbe riceve ogni giorno centinaia di lettere). “Questa è da parte di tua madre”. Daniel era scioccato, poteva essere veramente di sua madre?
“Mi scrisse venticinque anni fa, dicendo che stava morendo, e mi chiedeva di pregare per te. È qui, puoi leggerla” dice il Rebbe.
Daniel si sentì rivoltare dentro, mentre la testa gli girava vorticosamente. Tutti quegli anni… si era sbagliato! Sua madre aveva veramente cercato di fare tutto il possibile per lui! Le lacrime riempirono i suoi occhi.
“Rebbe!” egli pregò. “Posso avere questa lettera? La prego, è di mia madre!” Il Rebbe però prese la lettera e disse: “Posso dartene una copia, ma questa lettera è stata scritta a me e resta con me”. “Ma è di mia madre!” disse Daniel con una stretta al cuore, incapace di capire perché il Rebbe non gliela desse! Il Rebbe rispose: “Ogni anno, subito prima di Yom Kippur, raduno tutti gli studenti nella mia yeshivà, alcune centinaia di giovani, e li benedico come se fossero miei figli!”. “E allora?” lo interruppe Daniel. Il Rebbe continuò: “Prima di benedirli… leggo questa lettera talmente è profonda”.
Il Rebbe è riuscito a salvare il giovane poiché ha agito, verso di lui, con un vero sentimento di Unione, accogliente e amorevole: lo conosceva e voleva aiutarlo; ma ha dovuto fargli prima capire che tutto si originava dal fatto che sua madre gli aveva chiesto di aiutarlo, tramite la lettera.
Il Rebbe è grande, anche in questo attributo, poiché coniuga due cose: riesce a collegarsi (yessòd) con calore (khèssed), in modo da riportare all’ebraismo tante anime sperdute. In ogni circostanza, il Rebbe emana un infinito amore per avvicinarsi agli altri e poterli aiutare (khèssed in yessòd).
Riflessione:
abbiamo la tendenza a essere misantropi? Quando coltiviamo il rapporto con la nostra anima gemella, siamo appassionati e calorosi?
Esercizio:
il Rebbe insegna che bisogna portare i fiori alla moglie ogni venerdì in onore dello Shabbàt, perché un vero legame va accompagnato con gesti d’amore. Stiamo anche noi attenti a manifestare atti concreti di amore verso le persone con cui vogliamo creare un legame. Cerchiamo di compiere azioni di benevolenza per sviluppare delle profonde unioni con il prossimo.
37º Giorno
Giorno Trentasette dell’Òmer
5 settimane e 2 giorni
Ghevurà in Yessòd – Disciplina nell’Unione
22 di Iyàr – lunedì sera 19 Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21,54)
37° giorno: stasera abbiamo la mitzvà di illuminare la Disciplina nell’Unione.
Yessòd è l’attributo che rende inclini a ricercare dei legami intensi. Yessòd incarna il sentimento innato, presente in ogni essere umano, di legarsi profondamente con altre persone o progetti.
Ghevurà rappresenta l’attributo del “giudizio severo”, disciplina e rigore.
In questo giorno possiamo raffinare la nostra Unione, illuminando Ghevurà presente in Yessòd, e riuscire a disciplinare la nostra indole a connetterci con il prossimo. Chi ha un Yessòd sviluppato tende a fraternizzare con chiunque, però per instaurare delle relazioni SANE bisogna bilanciare Yessòd, con il rigore di Ghevurà, così da riuscire a selezionare le amicizie giuste, un aspetto fondamentale nella vita: DIMMI CON CHI VAI, TI DICO CHI SEI.
L’attributo di Ghevurà, equilibra il nostro Yessòd non solo in quantità (nel numero delle amicizie), ma anche in qualità: avere rapporti con gli altri, senza soffocarli con un eccesso di attenzioni. Ad esempio, possiamo sviluppare un atteggiamento morboso in un rapporto; oppure possiamo indurre una persona a sentirsi troppo dipendente da noi.
In entrambi i casi Ghevurà dona a Yessòd la forza di vagliare con chi e come fraternizzare in una maniera più bilanciata.
Un brano tratto dalla Torà può aiutarci a comprendere meglio:
Ya’akòv venne istruito dal padre Yitzkhàk che gli disse: “Non prendere una moglie dalle cananee. Alzati va’ a Padàn Aràm, a casa di Betuèl padre di tua madre e prendi una moglie dalle figlie di Lavàn fratello di tua madre” (Bereshìt 28, 1-2). Così Ya’akòv si mise in cammino e dopo una serie di vicissitudini incontra Lavàn e le sue figlie: Lea (la maggiore) e Rakhèl (la minore).
Ya’akòv sapeva che la sua moglie prediletta era Rakhèl, pertanto la sua volontà era di creare un legame con lei subito, in modo da realizzare la profezia di suo padre Yitzkhàk: “Che Dio onnipotente ti benedica, ti faccia prolificare, ti moltiplichi e che tu possa diventare un’assemblea di popoli” (Bereshìt 28, 3).
Ma Lavàn lo imbrogliò obbligandolo a sposare prima Leà. Comunque, Ya’akòv trovò la forza di limitare (ghevurà) il suo desiderio di unirsi (yessòd) a Rakhèl in maniera esclusiva, per “creare spazio” a un’altra moglie: Leà.
Grazie a questo, la missione del patriarca Ya’akòv è stata completata, poiché da Rakhèl nasceranno solo due delle tribù, mentre da Leà nasceranno ben sei tribù.
Un legame TOTALE (yessòd) con Rakhèl, senza la disciplina di Ghevurà, avrebbe compromesso la realizzazione della volontà di Hashèm: la nascita di tutti i capostipiti delle dodici tribù.
Riflessione:
sono capace di limitare il desiderio di relazionarmi con chiunque? Sono succube di una grande amicizia? Riesco a mantenere una certa indipendenza in un legame?
Esercizio:
oggigiorno è molto facile trovare “nuovi amici”, basta un click del mouse. Tuttavia, le insidie di internet sono più che note. Impariamo a disciplinare la nostra tendenza a fare amicizie facili e potenzialmente pericolose (ghevurà in yessòd).
38° Giorno
Giorno Trentotto dell’Òmer
5 settimane e 3 giorni
TIFÈRET in YESSÒD – COMPASSIONE nell’UNIONE
23 di Iyàr – martedì sera 20 Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21,51)
38° giorno: stasera abbiamo il merito di illuminare la Compassione nell’Unione.
Yessòd è il sentimento del LEGAME, l’attributo che dona la forza di “sposarci” con persone, missioni o progetti importanti.
Tifèret è il sentimento che permette di percepire e patire i bisogni del prossimo.
In questo giorno possiamo raffinare la nostra Unione, illuminando Tifèret presente in Yessòd. Aggiungere la compassione nei nostri legami, permette di comprendere i disagi del prossimo e coltivare meglio una vera Unione.
I primi due giorni della settimana di Yessòd, abbiamo riflettuto su come occorre sia saper amare con entusiasmo le nostre relazioni, sia evitare il pericolo nell’instaurare dei legami senza limiti. Questa sera, impariamo come una vera unione deve prendere in considerazione le esigenze della persona o del progetto a cui siamo legati: solo con l’empatia (tifèret) possiamo costruire una profonda unione (yessòd)!
La Torà può illuminarci con un eccellente esempio:
La speciale amicizia di Yonatàn (il figlio di re Shaùl) per Davìd, iniziò poco dopo che quest'ultimo uccise Golia. I due definirono un patto di fratellanza, poiché Yonatàn comprese che “Davìd aveva lo spirito di Dio” (Sam 18, 3). Il figlio di Shaùl non fu mai geloso di Davìd, che era in fondo un suo rivale al trono, a differenza di suo padre. Anzi, Yonatàn lo aiutò sempre e quando Davìd fu costretto a fuggire i due giovani strinsero un patto in cui si impegnavano a proteggersi a vicenda. Inoltre, Yonatàn difese Davìd al cospetto del padre, fatto che quasi gli costò la vita: in uno scatto d’ira Shaùl, scagliò una lancia contro di lui. In seguito, Yonatàn poté incontrare per l’ultima volta Davìd a Khorshà e, anche in quell’occasione, i due rinnovarono il loro patto di fraterna amicizia (Sam 23, 16-18). Nella battaglia contro i Filistei, Yonatàn morì combattendo, assieme ai due fratelli e al padre.
Il loro legame continuò anche dopo la scomparsa di Yonatàn. Davìd pianse amaramente la morte dell’amico e compose per Shaùl e Yonatàn un canto funebre intitolato “Canto dell’arco” (Sam 1, 17-27). Inoltre, il Re Davìd mostrò una speciale benevolenza per il figlio zoppo di Yonatàn, Mefiboshet e lo protesse sempre.
Nei Pirkè Avòt è scritto: compra un amico! Ovvero se trovi un vero amico sii disposto ad avere la sua amicizia anche a pagamento, perché senza amici sinceri che ti vogliono bene la vita è solitaria e senza riferimenti. Come mai gli amici spariscono nel momento del bisogno? Perché sono finti amici, legati a noi solo per interesse.
Ancora nel Pirké Avòt (cap 5, 16) è scritto: la vera amicizia è come quella tra Davìd e Yonatàn, un’amicizia senza interessi secondari, perché un’amicizia legata a degli interessi non è solida, visto che appena cadono gli interessi cade anche l’amicizia.
Davìd e Yonatàn sentivano profondamente l’uno i bisogni dell’altro (tifèret) e, grazie a questo sentimento, la loro amicizia (yessòd) fu vera e senza secondi fini (tifèret in yessòd).
Riflessione:
quando un amico è in difficoltà la mia prima reazione è quella di allontanarmi, oppure cerco di aiutarlo?
Esercizio:
il legame matrimoniale (yessòd) per essere bello (tifèret), non può essere a senso unico. La vera unione non è amare la moglie, poiché IO mi sento bene con lei, ma perché lei è parte integrante di me e i suoi dolori sono i miei dolori.
Quando si è distaccati di fronte ai problemi e alle sofferenze della moglie, bisogna aggiungere più compassione nel matrimonio che è l’ingrediente vitale per il successo del shalòm bait, la pace famigliare.
39° Giorno – Conteggio dell’Omer: Significato e Riflessi Spirituali
Giorno Trentanove dell’Òmer
5 settimane e 4 giorni
NETZÀKH in YESSÒD – DETERMINAZIONE nell’UNIONE
24 di Iyàr – mercoledì sera 21 Maggio
(dopo l’uscita delle tre stelle, a Milano, ore 21,56)
39° giorno: stasera abbiamo la mitzvà - ordine di illuminare la Determinazione nell’Unione.
Yessòd è l’attributo che permette di maturare un legame profondo in qualsiasi ambito: sociale, lavorativo, famigliare…
Nètzakh è l’attributo che consente di essere costanti e di realizzare con tenacia i progetti che riteniamo importanti, in modo di poter affrontare e vincere le sfide della vita.
Oggi possiamo migliorare la nostra Unione, illuminando Nètzakh presente in Yessòd. Questo significa riuscire ad avere relazioni sociali che resistono alle avversità che la vita ci pone di fronte. Ad esempio, un legame che si esaurisce velocemente, condizionato dagli sbalzi d’umore, ha bisogno della tenacia di Nètzakh.
Proprio nel 39° giorno dell’Òmer, Dio ci dona la forza di rettificare questo attributo e illuminare la natura innata (che ognuno ha) di creare LEGAMI STABILI e DURATURI.
Un eccellente esempio della perseveranza nel legame, lo troviamo nella storia di Rabbì Akìva e sua moglie Rakhèl. Questo è solo un riassunto di una lunga e affascinante storia:
Prima di diventare il più grande Rabbi (maestro) di tutti i tempi, Akìva era figlio di una famiglia molto povera, non sapeva né leggere, né scrivere e per vivere faceva il pastore. Un pastore ignorante, uno dei tanti, che si prendeva cura dell’enorme gregge della ricchissima e potente famiglia di Kalba Sabùa. La figlia di quest’uomo, Rakhèl, era una bellissima ragazza molto devota ad Hashèm. I giovani più ricchi e più istruiti di quel tempo, si sarebbero considerati fortunati a sposarla. Ma Rakhèl, l’unica discendente ed erede delle ricchezze di Kalba Sabùa, aveva visto nell’umile pastore Akìva delle eccezionali potenzialità di cui nessuno, nemmeno lui, era a conoscenza. Quindi, Rakhèl propose a un incredulo Akìva di sposarla, a condizione che andasse a studiare la Torà. I due si sposarono segretamente.
Il padre di Rakhèl, Kalba Sabùa, scopre il loro matrimonio segreto, si infuriò a tal punto che scacciò entrambi dalla sua casa, quindi anche da tutti i lussi e agi. La giovane coppia, pertanto, fu costretta ad andare a vivere in una baracca, dormendo su un fascio di paglia, mentre Rakhèl lavorava duramente per consentire a suo marito di studiare la Torà.
Con il tempo, Akìva e sua moglie decisero che lui sarebbe andato all’Accademia, assieme ad altri grandi studiosi del tempo, con a capo il rabbino Eli’èzer, per studiare ben dodici anni. Così, i due si separarono e per dodici lunghi anni Rakhèl fece di tutto per mantenersi, mentre suo marito diventò uno dei più grandi studiosi e saggi che fossero mai vissuti.
Alla fine dei dodici anni, Rabbi Akìva tornò da sua moglie come aveva promesso. Quando arrivò, davanti alla loro umilissima dimora, sentì una vicina che stava deridendo Rakhèl per aver deciso di sposare Akìva: “Potresti vivere nella ricchezza e nel lusso, se non fossi così sciocca”, disse la donna. Rakhèl, prontamente le rispose: “Per parte mia, potrebbe stare lontano altri dodici anni per studiare la santa Torà”. Pieno di orgoglio e ammirazione, per la sua grande moglie, Rabbi Akìva si voltò e tornò alla sua Yeshivà per fare come Rakhèl voleva.
Alla conclusione dei ventiquattro anni, Rabbi Akìva era diventato il più famoso di tutti gli studiosi viventi e non. Accompagnato da ventiquattromila studenti, Rabbi Akìva tornò a casa da sua moglie, accolto ovunque dalla più alta nobiltà, come una sorta di principe. All’improvviso, Rabbì Akìva vide i suoi discepoli cercare di trattenere una donna vestita con abiti laceri che in realtà era sua moglie Rakhèl. Subito si fece largo tra la folla per salutare la donna ed esclamò: “Se non fosse per questa nobildonna, sarei un pastore ignorante, incapace di leggere Alef, Bet (l’alfabeto ebraico), qualsiasi cosa io sappia e voi avete imparato da me, la devo a lei, a mia moglie Rakhèl”.
Questa è la storia di Rakhèl, la moglie del rabbino Akìva, il cui eroismo e sacrificio di sé ha regalato al mondo il grande Rabbì Akìva uno dei più grandi maestri di sempre. Il matrimonio di Rakhèl è un esempio di vera unione profonda (yessòd), ma senza l’ingrediente del 39° giorno, questo legame non avrebbe avuto la solidità che gli ha permesso di superare i tanti ostacoli. Solo grazie alla determinazione (nètzakh) nello sposare il grande Rabbì Akìva e nel sacrificarsi per ben 24 anni, nonostante tutto ciò a cui aveva rinunciato, è riuscita a mantenere questo legame saldo, dandoci un grande esempio della perseveranza finalizzata a costruire e mantenere un legame solido e duraturo nel tempo (nètzakh in yessòd).
Riflessione:
riesco a mantenere le amicizie quando sorgono divergenze di opinioni? Le relazioni con i miei colleghi vanno in crisi quando ci sono problemi nel lavoro?
Esercizio:
con il passare degli anni, lo splendido rapporto con i nostri genitori si indebolisce. I “vecchi” hanno problemi di salute e iniziamo a perdere la voglia e l’entusiasmo di andare a trovarli. Pur abitando vicini, gli incontri sono sempre più rari. Riflettiamo e comprendiamo, come il legame con i nostri genitori deve resistere anche alle difficoltà della vecchiaia (nètzakh in yessòd).